lunedì 23 gennaio 2017

La statua vivente

Era una statua vivente, vestita di bianco. L’unico suo compito era non muoversi, l’unica difficoltà. Le era sembrato impossibile da fare, per lei che aveva sempre vissuto di corsa, fra mille impegni e in movimento. Invece era riuscita a stare immobile in quella posizione e, pian piano, l’aveva perfezionata fino a sembrare che non respirasse neanche.
Era una sfida, e come tutte le sfide, la viveva in pieno, e riuscire a superarla la faceva sentire più forte. Aveva bisogno di sentirsi forte, pensava di non esserlo più, tutto sembrava sfuggirle di mano.
Aveva bisogno di lavorare e si era trincerata dietro la motivazione che la statua vivente era una forma d’arte, e anche se in realtà non la pensava così, aveva accettato di farla. Truccata di bianco sarebbe stata irriconoscibile, e anche l’immobilità avrebbe contribuito a renderla tale. Si sentiva come dentro una corazza, al riparo da eventuali attacchi.
Le avevano spiegato che per mantenere l’immobilità, bastava fissare un punto lontano e non pensare al corpo o alla posizione da prendere e cercare di svuotare la mente; non doveva pensare a cosa stesse facendo ma ad altro, così sarebbe riuscita a restare immobile.
Le sembrava un’impresa ardua, impossibile, ma poi, nel cercare un punto lontano su cui fissare la sua attenzione, le era venuto in mente che già l’aveva fatto, le era già successo di dover fissare un punto lontano……..

Era dicembre di tanti anni fa, era una bella giornata invernale. Lei era al lavoro e le arrivò una telefonata.
“Ciao, possiamo vederci oggi all’ora di pranzo?” era Enzo; l’aveva conosciuto da Silvana. Tutti e due sposati, avevano intrecciato una relazione e quando avevano difficoltà a contattarsi, ricorrevano all’aiuto dell’amica.
“Si” gli rispose “passa a prendermi all’una e mezzo”
Le faceva piacere passare l’intervallo diversamente dal solito.
Enzo andò a prenderla e decise lui dove andare. Lei lo lasciò fare, sapendo che avrebbe scelto un posto isolato, lontano da sguardi indiscreti.
Arrivarono ad un piccolo piazzale, un po’ interno alla strada principale, e parcheggiata l’auto, si trattennero un po’ prima di scendere. Enzo le stava raccontando qualcosa e lei, seduta al contrario sul sedile anteriore, ascoltava guardando il retro dell’auto.
Vide avvicinarsi due uomini vestiti di nero, con dei passamontagna che lasciavano intravedere solo gli occhi. Si svolse tutto come in un film al rallentatore.
Erano armati, uno con un fucile a canne mozze e l’altro con un coltello con una lama abbastanza lunga. Urlarono di dargli tutto quello che avevano; ma, evidentemente quello che avevano non bastava. La toccarono dappertutto per vedere se avesse ancora soldi nascosti addosso e le ordinarono di togliersi gli stivali. Meccanicamente lei fece tutto ciò che le veniva ordinato.
“Scendi” le ordinò quello con il fucile, “cammina”, erano ordini precisi, freddi che lei eseguì come in trance. La fece camminare per un centinaio di metri e le ordinò di sdraiarsi a terra e lì la violentò.
L’aveva capito subito che cosa l’aspettava e, razionalizzando la paura, pensò di assecondarlo senza far storie, in modo che finisse tutto al più presto.

Sdraiata a terra, guardava il cielo e fissò le nuvole sulla sua testa e notò che si muovevano, nonostante tutto.
Quelle stupide nuvole continuavano il loro stupido, indifferente giro, e fissando il loro cammino non sentì nulla, proprio nulla, solo la puzza di quel tipo: puzza di capre.
Quello era stato il ricordo più difficile da cancellare: la puzza di capre, le era entrato nel naso, le era entrato nella pelle.
Alla fine l’uomo si alzò e si tirò su i pantaloni, lei pensò che fosse finito, ma non fu così. L’altro tipo diede il cambio al suo compare e di nuovo tutto ricominciò, compresa la puzza di capre. Questo non voleva finirla li, avrebbe voluto anche sodomizzarla, ma il primo, forse il capo, disse che non potevano rischiare di essere visti. Così la smisero.
Le fu ordinato di ritornare all’auto dove era rimasto il suo amico, le indicazioni di dove fossero le chiavi, e di non girarsi per nessun motivo.
In quel momento ebbe paura, quella paura che ti prende dalle viscere e ti invade tutto il corpo.
Non sapeva se sarebbe riuscita ad arrivare all’auto o se le avrebbero sparato alle spalle, ma come un automa riuscì ad eseguire tutto, senza che le succedesse altro.
Raggiunta l’auto, aveva preso le chiavi nel cofano semiaperto e le aveva consegnate al suo amico che era ancora con la testa sul volante e le mani intrecciate dietro la nuca.
“Andiamo via di qua” gli disse con un filo di voce “mi hanno violentata”
“Come, violentata? Non ho sentito nulla… Vuoi denunciarli?”
“No” rispose lei “che cosa denuncio? Voglio andare via”
Enzo cominciò a parlarle: “Se vuoi denunciarli, lo facciamo. Ti accompagno….anche se….io sono sposato…”
Lei non voleva sentire più niente e rispose con decisione, quasi isterica, per mettere fine a quella litania: “Che denuncio? Non li ho visti in faccia. L’età? Non lo so. Solo puzza. Che denuncio? Due tipi che puzzano di capre?”
“Accompagnami, voglio andare a casa” aggiunse poi con calma.
Enzo parlava e parlava; forse per scaricare la sua tensione.
Alla fine aggiunse: “Ti porto in un albergo, così staremo un po’ calmi e vedremo il da farsi”
Giunti in albergo si stesero, vestiti, sul letto.
Dopo un po’ lui le disse: “Hai bisogno di scaricare la tensione che hai accumulato ed hai bisogno di fare l’amore in modo normale. Lo faccio per il tuo bene, altrimenti non ci riuscirai più, con nessun altro uomo”
Lei istupidita, sotto shock o semplicemente stanca, non ribatté e così anche Enzo approfittò di lei…….

Le era riuscito proprio bene stare immobile, fissando un punto lontano e andando col pensiero al passato. Aveva ricordato tutto quanto le era successo tanti anni prima.
Aveva cercato di rimuoverlo ma inutilmente. Nella mente, a sprazzi, ricompariva ogni tanto qualche ricordo che la faceva stare ancora male, nonostante fosse passato il tempo.
Non l’aveva mai raccontato a nessuno e persino con se stessa aveva cercato di negare quella esperienza, di cancellarla. Avrebbe voluto che non fosse mai successo.
Ma nell’immobilità, aveva tirato fuori tutto il ricordo ed ogni singolo particolare di quei momenti e fissando un punto lontano, vide le nuvole lontane che con il loro “stupido, indifferente giro” ora le stavano portando via quel doloroso peso dal cuore.                  
    

lunedì 5 marzo 2012

Mani - RosaAnna Pironti




Mani che cercano, 
che seguono schemi già fatti;
...sfondi senza colore.

Mani che toccano,
che seguono voglie impulsive;
...suoni senza rumore.

Mani che prendono,
che seguono istinti violenti;
... forze senza vigore.

Mani che sfiorano,
che seguono bisogni di carezze;
...intesa d'amore. 

venerdì 24 febbraio 2012

Haiku - Rosa Anna Pironti




Indifferenza
accusiamo il mondo
e no noi stessi.

                                                      Disperazione
                                                      un viaggio all'inferno
                                                      senza ritorno.


Cambia te stesso
e affronta il mondo
cambierà per te.
                                                                  Una parola,
                                                     un solo sfiorarsi,
                                                     per dirsi tutto.